Da due secoli a questa parte, l’audacia di una élite ha offerto al mondo un nuovo ambito di esperienza umana, che diverrà ben presto fenomeno di massa: “Pensate che razza di sviluppi, di ripercussioni ha avuto appunto questo sentimento, questo amore della montagna, di cui le Alpi sono indiscutibilmente la patria: nel giro di poco più di un secolo ha trasformato il volto delle valli, ha dato ossigeno a organizzazioni gigantesche, ha creato meravigliose strade, sentieri, impianti di ogni genere, ha fruttuosamente dilagato nella letteratura e nell’arte”. Così Dino Buzzati tratteggiava quella “invenzione estetica” delle Alpi, che diede avvio a una progressiva “colonizzazione”: alla metà del Settecento si diffonde “un sentimento che non concerne più piccoli gruppi o poche personalità, ma le élite europee sempre più numerose e di livello sociale sempre più modesto; visitare le montagne diventa un vero e proprio fenomeno sociale che crea una nuova economia e trasforma alcune valli” (Philippe Joutard, “La riscoperta della montagna nel Settecento”). Si assiste al vero e proprio lancio di una sensibilità, che nonostante un lungo elenco di illustri precursori - risalente fino all’ascensione di Petrarca al Mont Ventoux del 26 aprile 1336 - potrebbe essere analizzato come caratteristica “figura inaugurale del moderno”, se non altro per la suggestiva coincidenza tra la data (8 agosto 1786) dell’avvenimento fondatore dell’alpinismo, la conquista del Monte Bianco, e il rivoluzionario ‘89. Ma quale sarebbe, in fin dei conti, la “cosa inventata” in quella seconda, travagliata metà del diciottesimo secolo? In un capitolo di “Paesaggio e memoria”, Simon Schama ha magistralmente nominato la “cosa” che in effetti, prima di quella decisiva epoca, non esisteva: “Imperi verticali, abissi della mente”, ecco i confini della cosa che non si lascia facilmente “confinare”, né come sentimento estetico, né come gusto artistico, né come nuova rete di concetti filosofici e interessi scientifici. E’ una nuova “dimensione psichica” che ha bisogno di tradursi in varie forme di esperienza, e che trova la sua formula nell’“ossimoro del piacere dell’orrido” (così Schama) nel quale confluiscono teorie, scoperte, opere d’arte, poesie, viaggi, storie sociali e personali. Dopo l’“Inchiesta sul Bello e il Sublime” (1757) di Edmund Burke, il delizioso orrore del “sublime” verrà elevato dalla kantiana “Critica del Giudizio” (1790) al rango di emozione degna di rappresentare l’indipendenza, la superiorità e la destinazione ultima della ragione umana: “Le rocce che sporgono audaci in alto e quasi minacciose, le nuvole di temporale che si ammassano in cielo tra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lascian dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla tempesta, la cataratta d’un gran fiume, etc., riducono ad una piccolezza insignificante il nostro potere di resistenza, paragonato con la loro potenza. Ma il loro aspetto diventa tanto più attraente per quanto più è spaventevole, se ci troviamo al sicuro; e queste cose le chiamiamo volentieri sublimi, perché esse elevano le forze dell’anima al disopra della mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi una facoltà di resistere interamente diversa, la quale ci dà il coraggio di misurarci con l’apparente onnipotenza della natura”.

L’inspiegabile montagna. Breve viaggio alle origini di una strana passione

GIACOMINI, LORENZO
1999-01-01

Abstract

Da due secoli a questa parte, l’audacia di una élite ha offerto al mondo un nuovo ambito di esperienza umana, che diverrà ben presto fenomeno di massa: “Pensate che razza di sviluppi, di ripercussioni ha avuto appunto questo sentimento, questo amore della montagna, di cui le Alpi sono indiscutibilmente la patria: nel giro di poco più di un secolo ha trasformato il volto delle valli, ha dato ossigeno a organizzazioni gigantesche, ha creato meravigliose strade, sentieri, impianti di ogni genere, ha fruttuosamente dilagato nella letteratura e nell’arte”. Così Dino Buzzati tratteggiava quella “invenzione estetica” delle Alpi, che diede avvio a una progressiva “colonizzazione”: alla metà del Settecento si diffonde “un sentimento che non concerne più piccoli gruppi o poche personalità, ma le élite europee sempre più numerose e di livello sociale sempre più modesto; visitare le montagne diventa un vero e proprio fenomeno sociale che crea una nuova economia e trasforma alcune valli” (Philippe Joutard, “La riscoperta della montagna nel Settecento”). Si assiste al vero e proprio lancio di una sensibilità, che nonostante un lungo elenco di illustri precursori - risalente fino all’ascensione di Petrarca al Mont Ventoux del 26 aprile 1336 - potrebbe essere analizzato come caratteristica “figura inaugurale del moderno”, se non altro per la suggestiva coincidenza tra la data (8 agosto 1786) dell’avvenimento fondatore dell’alpinismo, la conquista del Monte Bianco, e il rivoluzionario ‘89. Ma quale sarebbe, in fin dei conti, la “cosa inventata” in quella seconda, travagliata metà del diciottesimo secolo? In un capitolo di “Paesaggio e memoria”, Simon Schama ha magistralmente nominato la “cosa” che in effetti, prima di quella decisiva epoca, non esisteva: “Imperi verticali, abissi della mente”, ecco i confini della cosa che non si lascia facilmente “confinare”, né come sentimento estetico, né come gusto artistico, né come nuova rete di concetti filosofici e interessi scientifici. E’ una nuova “dimensione psichica” che ha bisogno di tradursi in varie forme di esperienza, e che trova la sua formula nell’“ossimoro del piacere dell’orrido” (così Schama) nel quale confluiscono teorie, scoperte, opere d’arte, poesie, viaggi, storie sociali e personali. Dopo l’“Inchiesta sul Bello e il Sublime” (1757) di Edmund Burke, il delizioso orrore del “sublime” verrà elevato dalla kantiana “Critica del Giudizio” (1790) al rango di emozione degna di rappresentare l’indipendenza, la superiorità e la destinazione ultima della ragione umana: “Le rocce che sporgono audaci in alto e quasi minacciose, le nuvole di temporale che si ammassano in cielo tra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lascian dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla tempesta, la cataratta d’un gran fiume, etc., riducono ad una piccolezza insignificante il nostro potere di resistenza, paragonato con la loro potenza. Ma il loro aspetto diventa tanto più attraente per quanto più è spaventevole, se ci troviamo al sicuro; e queste cose le chiamiamo volentieri sublimi, perché esse elevano le forze dell’anima al disopra della mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi una facoltà di resistere interamente diversa, la quale ci dà il coraggio di misurarci con l’apparente onnipotenza della natura”.
1999
Estetica del paesaggio
8881071118
paesaggio; montagna; alpinismo; estetica; moderno; élite; massa; mito; sublime; orrido; pericolo; precipizio; estremo; organico-inorganico; ragione-follia; titanismo; Nirvana; Messner; Buzzati; Kafka; Schama; Simmel; Burke; Kant; Hegel; Tieck; Petrarca
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/661085
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