Il saggio fa parte di uno studio più generale in occasione dei cento anni dalla nascita degli architetti Albini, Gardella, Mollino, così come espresso dalle tre mostre omonime a Milano, Genova e Torino. In tal senso, esso va dunque letto in parallelo con quello su “ Carlo Mollino e la casa ideale”, pubblicato in Carlo Mollino architetto 1905-1973.Costruire le modernità (2006). Il punto di partenza infatti risente della necessità di evitare nelle trappole della monografia con la sua tentazione di restituire un ritratto d’autore astratto dalla complessità del suo tempo:il parallelo tra Albini e Mollino – abitualmente considerati agli due punti estremi del progetto : razionalismo, organicismo; funzionalità, espressività; etc.- mette in evidenza tensioni, aspirazioni, credenze e persino mitologie che appartengono a una generazione più che a un singolo protagonista e come tali fanno parte di un campo culturale ( a volta apparentemente senza voce)che agisce con la logica del campo magnetico, per attrazioni e repulsioni, ma sempre in una stretta contiguità. Paradigma esemplare di un Razionalismo “ideal-tipico” in cui la pressione sociale prende il tono di un moralismo scontroso, Albini è stato sempre ritratto dalla storiografia come un silenzioso alchimista del progetto , racchiuso in un dover essere interiore che soffocava sul nascere ogni tentazione a varcare l’estetica del meno, quasi questa si incarnasse con l’unica virtù in grado di dare un senso alla ricerca d’architettura e una giustificazione al mestiere di designer e di architetto. Con qualche isolata eccezione ( Zeno Birolli), Albini non è stato mai messo sullo sfondo di quelle tensioni metafisiche che percorrono la cultura primo novecentesca italiana, con evidenti ricadute dalla pittura all’architettura. Al contrario, per privilegiare il paradigma dello strettamente funzionale, la critica si è trovata di fronte a delle imbarazzanti aporie, scavalcate solo a prezzo del silenzio. In particolare due, che sono i punti centrali dell’analisi proposta: la “stanza per uno scapolo” alla Triennale del 1936 e la “stanza di soggiorno in una villa” a quella del 1940. Due allestimenti paradossali, dove il tema razionalista della tipologia funzionale dell’abitare non solo viene messo in crisi, ma addirittura ridicolizzato nella sua rappresentazione volutamente iper-funzionale. Una “macchina celibe” appunto , come quelle più celebri di Duchamp,dove l’esattezza minuziosa del design contrasta con la sua assoluta gratuità, soprattutto se messa a confronto con altri lavori di Albini nella medesima edizione della VII Triennale. Analogamente , nella mostra del 1940 – su cui non a caso la critica è stata particolarmente renitente – Albini porta alle estreme conseguenze una serie di temi concettuali e formali già avanzati in maniera episodica da altri personaggi della scena razionalista italiana. Il tema della Natura, ad esempio, avanzato da Ponti nella sua “architettura d’evasione” o da Luigi Figini nell’architettura “verde”; ma anche il tema dell’architettura “sospesa” che tante conseguenze avrà nella successiva stagione dell’architettura museale o in certe manifestazioni del disegno d’arredo, come la celebre libreria Veliero . Una ricerca che paradossalmente avvicina Albini al più eretico e solitario rappresentante della nuova architettura, Carlo Mollino, che ,negli stessi anni, nel suo laboratorio torinese costruiva arredi e ambientazioni all’insegna di una sperimentazione decisamente fuori del coro. In tal modo è possibile leggere una critica del razionalismo dal suo stesso interno: una messa in chiaro delle sue “difficoltà” non legate alla politica, secondo l’interpretazione della Veronesi, ma intrinseche alla sua natura, al suo programma, alla sua scarsa adesione alla realtà.

Macchine celibi

IRACE, FULVIO
2006-01-01

Abstract

Il saggio fa parte di uno studio più generale in occasione dei cento anni dalla nascita degli architetti Albini, Gardella, Mollino, così come espresso dalle tre mostre omonime a Milano, Genova e Torino. In tal senso, esso va dunque letto in parallelo con quello su “ Carlo Mollino e la casa ideale”, pubblicato in Carlo Mollino architetto 1905-1973.Costruire le modernità (2006). Il punto di partenza infatti risente della necessità di evitare nelle trappole della monografia con la sua tentazione di restituire un ritratto d’autore astratto dalla complessità del suo tempo:il parallelo tra Albini e Mollino – abitualmente considerati agli due punti estremi del progetto : razionalismo, organicismo; funzionalità, espressività; etc.- mette in evidenza tensioni, aspirazioni, credenze e persino mitologie che appartengono a una generazione più che a un singolo protagonista e come tali fanno parte di un campo culturale ( a volta apparentemente senza voce)che agisce con la logica del campo magnetico, per attrazioni e repulsioni, ma sempre in una stretta contiguità. Paradigma esemplare di un Razionalismo “ideal-tipico” in cui la pressione sociale prende il tono di un moralismo scontroso, Albini è stato sempre ritratto dalla storiografia come un silenzioso alchimista del progetto , racchiuso in un dover essere interiore che soffocava sul nascere ogni tentazione a varcare l’estetica del meno, quasi questa si incarnasse con l’unica virtù in grado di dare un senso alla ricerca d’architettura e una giustificazione al mestiere di designer e di architetto. Con qualche isolata eccezione ( Zeno Birolli), Albini non è stato mai messo sullo sfondo di quelle tensioni metafisiche che percorrono la cultura primo novecentesca italiana, con evidenti ricadute dalla pittura all’architettura. Al contrario, per privilegiare il paradigma dello strettamente funzionale, la critica si è trovata di fronte a delle imbarazzanti aporie, scavalcate solo a prezzo del silenzio. In particolare due, che sono i punti centrali dell’analisi proposta: la “stanza per uno scapolo” alla Triennale del 1936 e la “stanza di soggiorno in una villa” a quella del 1940. Due allestimenti paradossali, dove il tema razionalista della tipologia funzionale dell’abitare non solo viene messo in crisi, ma addirittura ridicolizzato nella sua rappresentazione volutamente iper-funzionale. Una “macchina celibe” appunto , come quelle più celebri di Duchamp,dove l’esattezza minuziosa del design contrasta con la sua assoluta gratuità, soprattutto se messa a confronto con altri lavori di Albini nella medesima edizione della VII Triennale. Analogamente , nella mostra del 1940 – su cui non a caso la critica è stata particolarmente renitente – Albini porta alle estreme conseguenze una serie di temi concettuali e formali già avanzati in maniera episodica da altri personaggi della scena razionalista italiana. Il tema della Natura, ad esempio, avanzato da Ponti nella sua “architettura d’evasione” o da Luigi Figini nell’architettura “verde”; ma anche il tema dell’architettura “sospesa” che tante conseguenze avrà nella successiva stagione dell’architettura museale o in certe manifestazioni del disegno d’arredo, come la celebre libreria Veliero . Una ricerca che paradossalmente avvicina Albini al più eretico e solitario rappresentante della nuova architettura, Carlo Mollino, che ,negli stessi anni, nel suo laboratorio torinese costruiva arredi e ambientazioni all’insegna di una sperimentazione decisamente fuori del coro. In tal modo è possibile leggere una critica del razionalismo dal suo stesso interno: una messa in chiaro delle sue “difficoltà” non legate alla politica, secondo l’interpretazione della Veronesi, ma intrinseche alla sua natura, al suo programma, alla sua scarsa adesione alla realtà.
2006
Zero Gravity. Franco Albini
9788837046101
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
albini irace_saggio.pdf

Accesso riservato

: Post-Print (DRAFT o Author’s Accepted Manuscript-AAM)
Dimensione 1.41 MB
Formato Adobe PDF
1.41 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/509152
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact